Futuro semplice

Mi rivedrai.

Gli occhi scintilleranno di bellezza
rubata ai roseti in fiore a dicembre,
rideranno come ninfee selvatiche
sorprese a giocare a nascondino
al chiarore lunare dell’orto di Boboli.

Ti rivedrò.

Nello sguardo la serenità dell’estate
che innamora la notte con la luce
ed è subito alba se sorridi ancora
una volta solo per me tra onde di mare.

Ci rivedremo.

Nei sogni il futuro è così semplice
per questo crediamoci per sempre
e nelle labbra facciamoli incontrare
la luna, il sole e tutti gli astri, amore mio.

Fenissa Holden©

Foto: Virgola, “Amore e Psiche”

Stazione

L’attesa filtra tra le grate che separano
le stazioni dai resti del mondo in corsa.
Non hanno più lettori i fondi del caffè e
si macchia il giornale distratto di notizie.
Mangiarsi le unghie e il rossetto
è un vezzo che rapido consuma
l’orario in partenza sul biglietto.

Una donna sa aspettare
treni e uomini
solo pensando alla Città.
Nulla se non la meta importa.

Metà sigaretta che sarà?
Se ogni tanto l’abitudine
sfilaccia
la Vita
è anche segno di destino.

Chi ruota la routine avrà fortuna?
Dal bar esce profumo di brioches.

Fenissa Holden©

Foto: Anka Zhuravleva

Arcano VII – il principe del Carro –

Oltre una distesa di terra rossa
il destino si distende assetato
di vittorie e libertà senza confini.
L’altrove è Lei, il suo volto e il nome
privo di carne e sangue ancora …

Eppure vivo nel muovere cielo e stelle.

Senza una donna diventa cavaliere
di se stesso ogni uomo che sogna.
L’infinito si dissolve dentro agli occhi
in lucore selvaggio
e la vista si disfa
in desiderio e luna,
impura notte
miraggio.

Fenissa Holden©

Il Fato

Il buio si accartoccia su se stesso
se lo incendi con occhio puro:
l’innocenza è arma e scudo
ma noi
siamo indifesi di fronte all’oscurità.

È sempre follia amarsi
lungo il confine che separa la vita,
azzardo metamorfico di pietra e linfa
Schiavitù e Libertà.

Per ora chiudiamo gli sguardi
eppure sappiamo
che Medusa spalanca pupille e
tutto quello che non vogliamo
alla luce del giorno.

Accadrà.

Fenissa Holden©

Dipinto: Kinuko Y. Kraft, Medusa (2011)

L’occhio d’usignolo

[“Ci sono cose sulla terra, cose fatte con le mani ed esseri non fatti con le mani che vivono una vita diversa dalla nostra, che vivono più a lungo di noi, e incrociano le nostre vite nelle storie, nei sogni, in certe occasioni in cui ridondanti fluttiamo”].

I turchi la chiamano Çeşm-i bülbül, letteralmente “Occhio d’usignolo”, l’uccello simbolo di luce e poesia, ed è una particolare tecnica di soffiatura del vetro che fu inventata dall’artista Dervish Mehmed Dede, dopo il suo soggiorno a Venezia per ordine del Sultano Selim III, alla fine del XVIII secolo. Ogni sovrano, infatti, è da sempre affascinato dal vetro, questa metafora incarnata, […] strumento per vedere e allo stesso tempo un oggetto che si vede”, così simile alle fiabe della principessa orientale Shahrazad, quelle che un tempo riuscirono, con il loro incanto, a vincere le tenebre di mille e una notte.

Ed è proprio nella Turchia di un’epoca che c’era una volta e forse c’è ancora che Antonia S. Byatt ci accompagna nel primo intensissimo racconto della raccolta “Tre storie fantastiche”, il quale fin dal titolo richiama il vetro, questa materia enigmatica “trasparente come l’acqua,  pesante come la pietra, invisibile come l’aria, solida come la terra. Soffiata con fiato umano in una fornace di fuoco”.

La protagonista, Gillian Perholt, è una narratologa, non più giovane, che ancora ricorda l’emozione provata a 16 anni nel leggere da un “consunto libro verde smeraldo” la descrizione del peccato originale nella poesia di John Milton, “il giorno preciso in cui quelle parole si erano levate per la prima volta dalla pagina in tutta la loro bellezza serpentina, cogliendola impreparata come Eva”. E ora, più di trent’anni dopo, il serpente torna a tentarla, nascosto proprio in un Çeşm-i bülbül, una piccola boccetta di vetro dal collo alto con un tappo “simile a una cupola in miniatura: scura, con un vorticoso motivo di strisce bianche che le giravano intorno”, simili a spire di drago.

Una volta strofinata, infatti, dalle sue viscere emerge un gigantesco ginn, dagli “occhi verde-mare punteggiati di malachite”, pronto a esaudire tre desideri, ma non a concedere l’immortalità: il serpente, del resto, dopo aver allontanato Adamo ed Eva da Eden, in un’altra storia, rubò a Gilgamesh il fiore dell’eternità, “per caso, non per nuocergli, solo perché amava la dolcezza” dei petali.

E fu molta la dolcezza che il ginn concesse a Gillian, molta! senza alterare il suo destino, ma solo aiutandola a diventarne più consapevole perché per quanto “nulla possa impedire o cambiare ciò che è predestinato, […] quando una donna desidera qualcosa nulla può fermarla”. Una dolcezza fatta d’amore, nostalgia e vetro: “fuoco e ghiaccio, liquido e solido, c’è e non c’è”.

Nel secondo racconto, “La storia della principessa primogenita”, ciò che non c’è perché è andato perduto fino a scomparire,  è l’Azzurro del cielo, sostituito da mille sfumature di verde: bottiglia, bronzo, smeraldo, malachite, giada, serpente… Ed è la figlia primogenita di un sovrano il cavaliere incaricato di rimettere a posto la realtà. La ragazza si sforza di eseguire gli ordini maschili, ma presto questa storia le sta stretta, così come a Shaharazad stava stretta la trama di morte che il sultano aveva scritto per lei ed è così che iniziò a narrare…

E narra di Harry, Jack e Eva, i protagonisti del terzo racconto, “Il fiato dei draghi”, e del loro villaggio distrutto da lingue di fuoco bestiali. In queste vite umane risuona il passaggio dalla noia al terrore fino alla pace e allo Stupore, sentimento complesso quest’ultimo, finalmente raggiunto grazie all’arte della tessitura, del vetro incostante e della narrazione perché i racconti, in qualunque forma si presentino, divorano il tedio: “trasformano cenere e alito cattivo, distruzione e inghiottimento in qualcosa di interessante, emozionante, quasi meraviglioso”. Questo è Çeşm-i bülbül. Questa è Poesia.

E ora caro lettore, segui anche tu la voce d’usignolo del ginn A.S. Byatt e…

“Dimmi qualcosa di te – qualcosa che non hai mai detto a nessuno – qualcosa che non hai mai confidato a nessun amante nel cuore della notte, né a un’amica, nel tepore di una lunga serata. Qualcosa che hai tenuto per me”.

Fenissa Holden©

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Recensione della raccolta di racconti: A.S.Byatt, “Tre storie fantastiche. Il genio nell’occhio d’usignolo, La storia della principessa primogenita, Il fiato dei draghi” (1994), Einaudi, Torino 2008.

I fuochi fatui

Danzerai nel buio

fino a turbarmi il sonno,

Sogno, fiammella fatua.

Al tuo azzurro le labbra

bruciano rosse d’autunno

come bacche di Strega

e la Sibilla sparge invano

le foglie del destino. Mute.

Mutato è il corso del vento,

immutati gli amanti di pietra

e noi… Sceglieremo la Vita?

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Photo: Dasha Pears

Corrida

[Nel labirinto cucisti gli occhi con fili rossi / perché cieco l’amore non teme /dolore]

Oltre le cavità di un teschio ora solo

gli dei guardano:

mille quadrati senza tempo cuciti alla notte

nera come stelle deformate in scatole

geometriche chiuse che pulsano istanti.

Ma io non vedo.

[Nel labirinto cucisti gli occhi con fili rossi / perché cieco l’amore non teme /dolore]

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Ph. Picasso, disegno di un toro.

Il giorno dei morti

Il rossore di novembre stinge in foglie

sul cappotto frettoloso dei vent’anni:

un’ombra di donna senz’ombra

che non t’appartiene più.

In fondo al viale il destino dei treni,

ma la tua destinazione qual è?

I dadi scuciti cadon tutti dalle tasche,

li raccogli perché tacciano per te.

Egon Schiele, Autum trees (1911)

Egon Schiele, Autum trees (1911)

Chiromanzia

Tra il campo di Marte e il monte della Luna il destino, la testa e la vita si intrecciano, riempiendomi il palmo d’azzurro e malombra. Non guardo la destra che sfalda le linee nella realtà: il mio occhio è fisso a sinistra, là dove lo zingaro custodisce una forca e l’Appeso sei tu.

Il tuo oscillare ha scavato un solco su cui stendersi a pugni chiusi verso il cielo. Le stelle sono campi di asfodeli, a noi le parole non bastano più.

 

Arcano XII, L'appeso

Arcano XII, L’appeso