Carillon

Nel cuore freddo una musica si sogna

dolce scivola da arterie intirizzite

feroce un tempo ferita ancora

come un bacio trafitto tra collo e gola.

Le dita allora incidevano su pietra

sirene tristi dagli occhi di languore

squamati specchi di perle iridescenti

sotto barattoli di vetro misti a neve.

Ricominciare è una sfera capovolta

si annullano memoria e direzione

la cecità è preludio di una svolta

nel buio il corpo sussurra una canzone.

Fenissa Holden©





Illustrazione di Benjamin Lacombe

Impressioni su “Infinite Jest” -quarta tappa-

Il gruppo di lettura di “Infinite Jest” di D.F. Wallace continua… Ecco la mia recensione delle pagine 380-502.

La quarta tappa di “Infinite Jest” si apre quasi subito con una lunga e accurata descrizione di Eschaton, un gioco teoretico molto in voga tra gli atleti dell’ETA. Il rigore matematico con cui tutto è pianificato, tuttavia, non impedisce la crisi e il trionfo finale del Chaos: basta un’infrazione alla regola, la Regola per eccellenza, e tutto il sistema degenera in modo rapido.

La descrizione del crollo è intervallata da continui riferimenti alla neve. All’inizio si dice: “È solo neve del mondo reale, non cade sullo scenario del gioco”. Sembra lontana. Al primo apparire della violenza, invece, i fiochi turbinano sempre più veloci e epifanici, ignorando qualsiasi confine finché il freddo non trionfa e persino il rumore di vetri rotti e sirene è attutito dal “non-suono della neve che cade”. La neve copre ogni cosa, reale o virtuale che sia.

Questa conclusione dell’episodio mi ha ricordato il finale di uno dei più celebri racconti di “Dubliners” di Joyce: “The dead”. Là la neve annullava le differenze tra vivi e morti, cadendo su entrambi, e rendeva evidente una malinconica verità: i vivi si avviano lentamente verso la morte, mentre il ricordo dei morti può ancora influenzare la vita. La morte, anche quando è lontana, ha una forza che a volte la vita non ha. Spaventa e attrae.

La conclusione della partita a Eschaton, tuttavia, secondo me, nel momento in cui la parola “rumore” si contrappone a “non suono” (pag. 410, ultime righe dell’Edizione Einaudi), allude anche a un’altra opera significativa per la letteratura americana: “Rumore bianco” di Don DeLillo. Anche in quel romanzo si parla di morte, nello specifico di una società che cerca di esorcizzare il timore della morte, il suo rumore bianco, con il frastuono dei media. Il bianco è il colore del lutto in numerose culture.

A mio avviso D.F. Wallace è riuscito a unire con grande eleganza le suggestioni di entrambe le opere: Eschaton è un cosmo ordinato, che si illude di resistere alla distruzione, al timore della morte; essa, invece, si insinua irrazionale e bianca come la neve, sia sulla mappa (luogo reale), sia sul territorio (luogo virtuale), sia sui vivi che sui morti. E poi deflaga.

Più avanti, quando i ragazzi dell’ETA si confidano con Lyle, invece non nevica: il cielo è in tempesta e tutta quell’acqua che irrompe simboleggia l’emotività. Il guru la riassorbe e il lampo lo illumina con la sua luce. La luce, simbolo del divino, qui potrebbe alludere alla spiritualità, una dote che nel romanzo caratterizza soprattutto i personaggi capaci di ascoltare (Lyle e Mario), in contrapposizione alla reificazione dilagante che impedisce di vedere l’Altro come persona.

A proposito di anime, la descrizione degli stati d’animo degli Alcolisti anonimi (Aa) di Boston e dei pazienti dell’Ennet House è lancinante. La metafora della “peritonite dell’anima” per definire il dolore psichico, rende la sofferenza tangibile. L’uomo è messo a nudo di fronte al bisogno della sostanza, una sostanza che se si toglie la maschera inautentica non solo evoca IT (lunghi canini, faccia bianca, sogghigno da incubo), ma finisce per assumere le sembianze di chi guarda. La sostanza è qualcosa di più di droga e alcol: è metafora della stessa vita che divora fino a trasformare l’uomo in scheletro. Anni di lusinghe e finti piaceri finché non si scopre che il teschio di Amleto è sempre stato lì, nello specchio, a mostrare nel vuoto degli occhi la verità.

I rituali degli Aa proteggono dalla disperazione prodotta da questa nudità; sono una forza che spinge indietro la volontà (la “voluntas” di Schopenhauer) prima che si arrivi troppo vicini al baratro, prima che si sollevi definitivamente il velo di Maya. Le cose sembrano più vere quando si è al riparo dal mondo esterno. Ma è davvero così?

Cos’è “sostanza”? Cos’è apparenza?

Sembra che Wallace voglia sfidarci a rispondere, senza mai dare il sollievo di una soluzione definitiva. Moltiplica le voci all’infinito e ogni suo personaggio si fa portatore di una personalissima e (in)discutibile verità.

E come nell’ “Amleto” di Shakespeare, dove il principe di Danimarca si serve di attori per raccontare una vera fabula che accade, è accaduta, accadrà, così nel romanzo di Wallace il racconto della più tragica problematica ambientale che affligge gli stati dell’Onan è affidato a uno spettacolo di marionette, come se tutto fosse finzione e invece è la nostra realtà.

Fenissa Holden

Fotografia modificata tramite Comica app

In bianco e nero

Nevica.

Le ombre intirizzite

si scaldano al lampione

e una foto cade dalla tasca

in bianco e nero: un bacio da cinema.

Lei, occhi chiusi, labbra protese

Lui fumava fino a un’ora fa,

scanzonati ed è già un secolo.

Il treno non si ferma. Ridono.

Incontreremo i nostri volti vivi

fra cent’anni

stampati sui biglietti del metrò.

Fenissa Holden©

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L’Azzurro

Nel ghiaccio la luna riflessa

è una danza

che incanta i pattini argento,

fa tendere al cielo le braccia.

Dal cerchio purissimo in volo

una pattinatrice s’innalza:

dà vita alle ombre con gesti,

stordisce con baci di fiamma.

Intorno al silenzio la neve

volteggia piano tra gli aghi:

ricamano insieme un canto

antico, ricordo di un mondo

Lontano.

Fenissa Holden©

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Dipinto: Maria Rosa Mosca (gruppo “La Stanza” di Pavone Mella)

Il pozzo dei desideri

L’oro di monete scagliate

nel fondo di un pozzo

luccica il nome di lui

tra ombre lunari

d’acqua e desiderio.

In attesa.

Rivolto al Cielo, il volto canta di lei

un canto d’avorio e d’ebano

e si sveste dal pizzo la pelle

tremante di baci e neve

tra le luci dell’alba.

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Dipinto: Vittorio Zecchin

Stupore

E in questo infinito palazzo

di scale proibite

Venezia sogna ancora

la neve perduta

in una notte di luna

acerba

quando Desdemona

bambina riflessa

sul fondo oscuro del cielo

già sentiva

venir

meno

il

re… spiro.

Lyon Master Venice

Dipinto di Lyon Master, Venice The Entrance to the Grand Canal

Fantasia d’acqua e di sale

Un giorno la Scienza mi disse:

nessuna lacrima è uguale.

Nelle mie il microscopio rivela perenni

foreste di stelle rubate;

nelle tue vibrano oggi tempeste

desertificate.

Aspetta, non ridere e mischia

i nostri vetrini di sale…

Dal mazzo:

Deserto – mi vedi? –

Sospesa su filo di neve

ostinata a raccogliere un fiore.

tear-1st-frame the unique beauty of tears

Fotografia del progetto artistico Imaginarium of tears del fotografo Maurice Mikkers.

Fiori di neve

Nei sogni suono il violino

sospesa

su rami spogli di rosso e di oro

la luna nuova riflessa sulle ciglia

fiori di neve

tra le mani per te

DSCN9809

Fotografia scattata da me a Bonifacio: è un particolare della mostra fotografica “Traits d’Union” di Floriane de Lassée e Nicolas Henry.