Un mostro in miniatura

Nulla mi appartiene
più dell’ora in cui non dormo e fisso
ombre della mente proiettate al soffitto.
Nel vetro la finestra protegge il temporale
il cuore si spalanca in un dolore marginale.
Squarciano lenzuoli le memorie
d’occhi e cielo. Dov’eri? Non c’ero.
Talvolta nudità è un mostro in miniatura
mirabile visione d’anima e tortura.

E chi gira la pellicola non so.

Fenissa Holden

Akira Kusaka

La mia Russia

[Il motto di <<Novaja Gazeta>> era: usiamo le stesse lettere, scriviamo parole diverse.
Quanto pesa una parola?
(A volte quanto un’intera vita)
Una parola può contrastare la tirannia armata?
(No)
Una parola può fermare la guerra?
(No)
Una parola può salvare il Paese?
(No)
Una parola può salvare chi la dice?
Ha salvato me.
Ma solo me. (p. 445)]
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Così indispensabile che dopo averlo preso in prestito in biblioteca l’ho comprato.
“La mia Russia” è una raccolta di 13 reportage di Elena Kostjučenko @mirrorsbreath,  giornalista dissidente russa, ispirata da Anna Politkovskaja a denunciare i crimini del Cremlino, il marcio sepolto sotto il marmo di cui sono asfaltate le strade di Mosca: tutto quello che la stampa ufficiale non dice, non può dire.
Ogni articolo è un pugno allo stomaco; Kostjucenko, infatti, sceglie di dare voce ai più umili, gli emarginati che Mosca finge di non vedere o desidera dimenticare (ma “Mosca non è la Russia, la Russia non è Mosca. A Mosca ci vive un russo su dieci”): i pendolari – privati di treni per loro essenziali, ma considerati sacrificabili dal governo in nome dell’alta velocità; i bambini di strada – tossici già a 15 anni; la minoranza Nganasan, un tempo fiera custode di una lingua e una cultura antichissime, ma che ora – priva di diritti e identità – vede nel suicidio l’unico futuro possibile; la comunità lgbt – derisa e perseguitata anche dalle stesse forze dell’ordine; le donne disabili – sterilizzate a forza perché “incapaci di intendere e di volere”; lo sguardo disincantato delle prostitute – costrette a fare i conti con clienti che in fondo non sono tanto diversi da quegli uomini abituati a vedere in ogni donna (che non sia la figlia o la madre) solo un bell’oggetto da sfruttare.

E poi c’è il dolore atroce delle madri che nel 2004 hanno perso ingiustamente i figli a Beslan (e ora vengono picchiate se osano protestare) e delle mogli che nel 2014 non potevano riavere il corpo del proprio marito morto in Donbass perché ufficialmente in quei territori non era in corso nessuna guerra. E il dolore della giornalista sia per i colleghi morti mentre denunciavano l’ingiustizia  – uno fra tutti l’omicidio di Anna Politkovskaja – sia per la recente chiusura della “Novaja Gazeta”, a cui è stata revocata la licenza proprio all’inizio della guerra con l’Ucraina. Senza è impossibile scrivere legalmente in Russia.

Corruzione delle forze dell’ordine, insensibilità nei confronti dell’ambiente e dei più deboli, sete d’alcol e di potere… Quanta rabbiosa impotenza si respira nelle parole di questa giovane giornalista coraggiosa che dall’età di 17 anni si impegna a descrivere un Paese che in fondo ama e di cui vorrebbe sentirsi orgogliosa. La sua Russia. La nostra Russia. Perché parte di un mondo in cui anche noi viviamo. E non possiamo chiudere gli occhi o voltarci dall’altra parte.

Se quest’anno scegliete un solo libro, leggete questo.